L’inchiesta di Scarfone tocca l’ambiente federale scosso dagli scandali che reagisce sostituendolo. Aveva raccolto 230 denunce in tre anni. Ora ci sono due procuratori
Questa è la storia di un cocciuto avvocato calabrese che ha imparato a combattere in aula giocando da terzino sui campi della serie B. E che pochi giorni fa, dopo un anno di battaglie giudiziarie, ha indotto un tribunale di ultimo grado a ricordare che l’articolo 25 della Costituzione («Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge») vale anche nello sport. Salvatore Scarfone, 53 anni, ha militato a lungo nel Catanzaro prima di laurearsi in Giurisprudenza, diventare docente universitario e membro della commissione disciplinare del settore tecnico della Figc.
La vicenda comincia nel 2017 quando l’ex terzino accetta di diventare procuratore (pubblico ministero) della Danza Sportiva: 30 discipline agonistiche, 100 mila tesserati, migliaia di gare. Dal 2010 la Fids è squassata dagli scandali: elezioni annullate per irregolarità, commissariamento, un ex presidente radiato accusato di gestirla nell’ombra per pilotare la sua amnistia, un consiglio federale nel mirino della Procura del Coni diretta dal generale Enrico Cataldi. Scarfone comincia (scrupolosamente) a fare il suo lavoro. E le denunce piovono nel suo ufficio: 100 nel primo anno, 80 nel secondo, 50 nel terzo.
Lui indaga, convoca, a volte archivia, più spesso deferisce perché nell’ambiente agonistico intrallazzi e combine paiono consolidata abitudine. E quando (è il febbraio 2019) un corposo dossier punta il dito sul presidente Michele Barbone e sull’intero consiglio federale lui li interroga senza troppi riguardi. Poche ore prima di consegnare l’avviso di chiusura indagini, Scarfone trova sostituita la serratura della porta del suo ufficio all’Olimpico di Roma e riceve — a firma di Barbone su cui stava indagando — una «lettera di licenziamento».
Può un presidente federale rimuovere un procuratore? No: dopo la «Riforma Malagò», per garantire l’indipendenza delle inchieste sportive il potere spetta soltanto a una commissione di garanzia degli organi di giustizia che per tre volte dichiara legittimo l’operato del procuratore. In assenza di precedenti, Scarfone impugna l’atto davanti al Tribunale federale della danza che dichiara il suo ricorso inammissibile, scrive alla Giunta del Coni ma riceve risposte vaghe ed evasive. Nel frattempo la Federdanza lo sostituisce e gli atti della sua inchiesta vengono chiusi in un cassetto a doppia mandata: il governo federale si salva.
Lo scorso 11 giugno, quando tutto sembrava finito, la Corte di Appello della Danza (presieduta da un magistrato vero, Oriana Calabresi) dichiara palesemente illegittima la decisione di primo grado e rimette Scarfone al suo posto. Nel frattempo il Gip del Tribunale di Rimini, Benedetta Vitolo, aveva emesso sette «misure cautelari, interdittive e coercitive» (in seguito all’«Operazione Tersicore» dei carabinieri, sintetizzata in 40 pagine di intercettazioni) nei confronti di altrettanti tesserati per aver falsato i risultati dei campionati italiani di Danze Latine del 2018 dove le coppie vincenti erano segnalate ai giudici di gara dalle scuole di danza più potenti tramite una chat WhatsApp. E accusa il presidente Barbone di omessa denuncia dei casi di frode sportiva di cui era a conoscenza.
Giustizia è fatta? Mica tanto. Due giorni fa Scarfone bussa alla porta della Federdanza per riavere il suo posto ma invece di aprirgli il presidente Barbone gli consegna una mail in cui considera «nulla di fatto e di diritto» la sentenza che lo reinsedia.
Il procuratore generale del Coni, Ugo Taucer, ha preso tempo per capire come muoversi: una federazione con due procuratori non si era mai vista. Se la decisione non dovesse arrivare sarà l’autorità giudiziaria a ribadire il principio che in Italia nessuno può sbarazzarsi del suo giudice naturale, nemmeno nel mondo dello sport.27 giugno 2020 (modifica il 27 giugno 2020 | 10:00)
